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M&A Merge And Acquisition

Come strutturare una vendita per minimizzare il carico fiscale

Introduzione

Vendere un’azienda è spesso il coronamento di anni di lavoro, sacrifici e visione imprenditoriale. Tuttavia, se l’operazione non è strutturata con attenzione, il rischio è di vedere buona parte del guadagno evaporare sotto forma di imposte. In Italia, il carico fiscale su una cessione può essere molto pesante, ma esistono strategie pienamente legittime per ottimizzare la fiscalità, nel rispetto della normativa. In questo articolo, esploreremo in modo chiaro e accessibile come strutturare una vendita aziendale per ridurre il carico fiscale, evitando errori e cogliendo le opportunità offerte dall’ordinamento italiano.


Capire il tipo di vendita: asset deal o share deal?

Il primo snodo strategico riguarda la forma della vendita. Le due opzioni principali sono:

  • Asset deal: si vendono beni, rami d’azienda o l’intera azienda operativamente intesa.
  • Share deal: si vendono le quote o azioni della società che possiede l’azienda.

La scelta tra asset e share deal ha implicazioni fiscali molto diverse. Nel caso dell’asset deal, il venditore (la società) realizza una plusvalenza soggetta a IRES (24%) e IRAP. Inoltre, l’operazione può essere soggetta a IVA o imposta di registro, con aliquote anche elevate, soprattutto se sono coinvolti immobili.

Nel caso del share deal, invece, se il venditore è una persona fisica, la plusvalenza è tassata con un’imposta sostitutiva del 26%. Se il venditore è una società, può beneficiare del regime di partecipation exemption, che esenta il 95% della plusvalenza.

Quindi, per minimizzare il carico fiscale, il share deal è spesso preferibile — ma tutto dipende dal tipo di attività, dal profilo del venditore e dagli interessi del compratore.


Il regime della partecipation exemption (PEX)

Per i venditori societari, uno dei principali strumenti di ottimizzazione fiscale è il regime PEX, previsto dall’articolo 87 del TUIR. Questo meccanismo consente di esentare il 95% della plusvalenza ottenuta dalla cessione di partecipazioni.

Per accedere alla PEX, però, devono essere rispettate alcune condizioni:

  1. La partecipazione deve essere classificata come immobilizzazione finanziaria.
  2. Deve essere posseduta ininterrottamente da almeno 12 mesi.
  3. La società partecipata deve essere residente in un paese “white list”.
  4. La partecipata deve esercitare un’effettiva attività commerciale.

Se anche uno solo di questi requisiti manca, la partecipation exemption non si applica, e l’intera plusvalenza viene tassata.

È quindi fondamentale fare una verifica preventiva e, se necessario, adottare le azioni correttive con anticipo, ad esempio riclassificare correttamente la partecipazione o attendere il decorso dei 12 mesi.


Holding e strutture veicolari: vantaggi e cautele

Un altro modo per minimizzare il carico fiscale consiste nel creare una holding che detiene la partecipazione da vendere. In questo modo:

  • La plusvalenza maturata dalla holding può beneficiare della PEX.
  • Il ricavato della vendita rimane nella holding, che può reinvestirlo in modo efficiente.
  • Si può differire il prelievo fiscale personale attraverso dividendi o operazioni straordinarie (come fusioni o liquidazioni).

Tuttavia, creare una holding solo in vista della vendita può essere considerato elusivo dall’Agenzia delle Entrate, soprattutto se l’operazione avviene a ridosso della cessione. È buona prassi costituire la holding con largo anticipo, dotarla di struttura e attività economica reale, e mantenere una logica di medio-lungo termine.


Tempistiche e pianificazione: vendere al momento giusto

Un errore frequente è avviare un processo di vendita senza un’adeguata pianificazione fiscale preventiva. I vantaggi fiscali, infatti, richiedono tempo per maturare. Ad esempio:

  • I 12 mesi della PEX devono decorrere prima della vendita.
  • Un’eventuale fusione o riorganizzazione richiede mesi.
  • La verifica e regolarizzazione di crediti fiscali o contenziosi in corso richiede tempo.

Per questo motivo, l’ottimizzazione fiscale non si fa al momento del closing, ma si prepara con almeno 12-24 mesi di anticipo.


La tassazione per le persone fisiche: quando conviene cedere personalmente

Se il venditore è una persona fisica che detiene direttamente quote in una SRL, la plusvalenza realizzata viene tassata con imposta sostitutiva al 26%. Non è prevista la PEX, ma il regime può comunque essere conveniente rispetto alla tassazione ordinaria.

In alcuni casi, può essere utile trasformare la società in una holding, o conferire le quote a una società veicolo personale, per poi beneficiare della PEX. Anche in questo caso, però, serve attenzione: l’Agenzia può disconoscere l’operazione se ritiene che sia stata fatta solo per ottenere un vantaggio fiscale.

Una strada interessante è anche quella del regime di rivalutazione delle partecipazioni non quotate, se disponibile. Periodicamente, lo Stato consente di pagare un’imposta sostitutiva ridotta per “rivalutare” il valore fiscale delle quote. In questo modo, la futura plusvalenza risulterà più bassa.


Costi deducibili e valorizzazione dell’avviamento

Nelle operazioni strutturate come asset deal, è importante verificare se è possibile valorizzare e ammortizzare l’avviamento trasferito, e dedurre eventuali costi correlati all’operazione.

Per esempio:

  • Spese notarili e legali.
  • Costi di advisory.
  • Incentivi all’esodo o piani di retention per il personale.

La deducibilità di questi costi riduce l’imponibile e quindi le imposte. Anche in caso di share deal, alcune spese possono essere imputate fiscalmente alla holding, se correttamente pianificate.


Ritenute, dividendi e liquidazioni: attenzione al post-vendita

Spesso ci si concentra solo sul carico fiscale della cessione, ma è importante considerare anche il post-vendita. In particolare:

  • Dividendi distribuiti dopo la vendita: tassati con ritenuta del 26% per le persone fisiche, o con tassazione ordinaria per le società.
  • Liquidazioni di società veicolo: possono essere tassate in capo al socio persona fisica.
  • Rientro dei capitali esteri: se il venditore è residente all’estero, vanno analizzati i trattati contro la doppia imposizione.

Un buon fiscalista deve quindi guardare non solo alla cessione, ma all’intero ciclo di monetizzazione del valore.


Le operazioni straordinarie come leva di ottimizzazione

Le operazioni di M&A offrono anche l’opportunità di ripensare la struttura aziendale in ottica fiscale. Alcuni esempi:

  • Scissione parziale prima della vendita: per separare gli asset strategici da quelli cedibili.
  • Fusione inversa per utilizzare perdite fiscali pregresse.
  • Conferimento di ramo d’azienda per isolare rischi e creare una SPV per la vendita.

Queste operazioni vanno valutate caso per caso, anche per evitare di cadere nel campo dell’elusione fiscale. È fondamentale documentare il ragionamento economico alla base delle scelte.


Esempio pratico: vendita di una PMI veneta con struttura fiscale ottimizzata

Immaginiamo un imprenditore della provincia di Treviso che vuole vendere la sua PMI operante nel settore della componentistica meccanica. Detiene il 100% delle quote da 15 anni come persona fisica. L’azienda è una SRL con immobili strumentali, un marchio registrato e circa 3 milioni di utile negli ultimi due anni.

Per evitare di pagare il 26% su tutta la plusvalenza personale, l’imprenditore viene assistito da uno studio specializzato. La strategia prevede:

  1. Conferimento delle quote a una holding personale già esistente da 3 anni, che detiene anche altri asset.
  2. L’azienda target viene rivalutata in bilancio, valorizzando l’avviamento e il marchio.
  3. La holding beneficia della PEX, esentando il 95% della plusvalenza.
  4. I proventi restano nella holding, che reinveste parte della liquidità in altre operazioni e parte la distribuisce sotto forma di dividendi dilazionati, ottimizzando la tassazione personale.

Risultato: carico fiscale ridotto di oltre il 50%, senza violare alcuna norma e con struttura coerente con la storia imprenditoriale del venditore.


Conclusione

Strutturare una vendita aziendale in modo fiscalmente efficiente non è solo una questione di risparmio, ma un atto di responsabilità verso il valore creato in anni di attività. Ogni imprenditore merita di capitalizzare il proprio lavoro nel miglior modo possibile, ma per farlo servono visione, tempo e professionisti esperti.

La fiscalità italiana è complessa, ma offre anche strumenti importanti: PEX, holding, conferimenti, rivalutazioni, operazioni straordinarie. Con una corretta pianificazione, il carico fiscale può essere minimizzato senza rischi, garantendo al venditore il massimo risultato netto.

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M&A

L’importanza della comunicazione interna durante un M&A

Introduzione

Quando due aziende si uniscono, il primo pensiero corre a numeri, sinergie operative, valutazioni e clausole contrattuali. Tuttavia, c’è un elemento che può determinare il successo o il fallimento di un’operazione di M&A: la comunicazione interna. Nella fase di transizione, le persone sono il vero asset strategico. Ed è proprio la qualità della comunicazione a determinare se quelle persone rimarranno motivate, produttive e allineate agli obiettivi del nuovo gruppo. In questo articolo esploreremo perché la comunicazione interna è un pilastro invisibile ma cruciale per ogni operazione di fusione o acquisizione.


L’M&A dal punto di vista dei dipendenti

Un’operazione di M&A genera inevitabilmente incertezza: i dipendenti si domandano cosa succederà al loro posto di lavoro, ai loro capi, alla cultura aziendale che conoscono. Si innescano ansie, voci di corridoio, aspettative. In assenza di una comunicazione chiara, il vuoto viene colmato da speculazioni.

Ogni cambiamento strutturale viene percepito come una minaccia se non viene spiegato. E quando le persone iniziano a sentirsi escluse o ignorate, il rischio è che cali la produttività, aumentino le dimissioni volontarie e venga compromesso il valore dell’operazione.


Perché la comunicazione interna è strategica

Nel mondo M&A, si parla spesso di “retention del capitale umano” e “integrazione culturale”, ma senza un piano di comunicazione interno questi obiettivi restano parole vuote. La comunicazione non è solo un’attività accessoria, ma una vera leva strategica per:

  • Mantenere l’engagement dei talenti chiave.
  • Favorire l’integrazione tra due culture aziendali.
  • Minimizzare conflitti interni e resistenze al cambiamento.
  • Ridurre il turnover involontario post-fusione.
  • Allineare tutti gli stakeholder interni agli obiettivi comuni.

Una comunicazione efficace crea chiarezza, riduce l’incertezza, rafforza la fiducia e consente un allineamento rapido su mission, visione e processi.


I momenti critici in cui comunicare è essenziale

Durante un M&A ci sono alcuni momenti chiave in cui la comunicazione fa davvero la differenza:

1. Annuncio dell’operazione:
È il primo momento pubblico e va gestito con attenzione. Comunicare tempestivamente, con trasparenza, aiuta a mantenere il controllo della narrativa e a prevenire reazioni negative.

2. Due diligence e trattativa:
Anche se l’operazione è riservata, è bene prepararsi per tempo. Le indiscrezioni viaggiano rapide. Meglio avere un messaggio pronto piuttosto che dover improvvisare.

3. Fase di closing:
È il momento in cui l’operazione diventa effettiva. I dipendenti devono sapere cosa cambia, da quando, e cosa ci si aspetta da loro.

4. Post-fusione (integrazione):
È la fase più lunga e delicata. La comunicazione continua è fondamentale per monitorare la percezione interna, rispondere a dubbi, e consolidare il nuovo assetto organizzativo.


Errori da evitare nella comunicazione interna durante un M&A

I principali errori che si compiono nella gestione della comunicazione interna in un’operazione di M&A sono:

  • Comunicare troppo tardi: spesso i vertici aspettano la chiusura definitiva prima di informare il personale. In questo modo si perdono settimane preziose in cui le voci si moltiplicano.
  • Essere troppo vaghi o tecnici: messaggi pieni di gergo finanziario o legale creano distacco. Le persone vogliono sapere cosa accadrà a loro.
  • Non ascoltare: la comunicazione è un dialogo. È fondamentale predisporre canali di feedback per intercettare preoccupazioni e suggerimenti.
  • Ignorare i middle manager: sono i primi ambasciatori del cambiamento. Se non sono coinvolti, non riusciranno a motivare i team operativi.
  • Sottovalutare la comunicazione informale: se non si presidiano le chat aziendali, il caffè, i corridoi, la narrativa sarà dominata da paure e ipotesi.

Come costruire un piano di comunicazione interna efficace

Una comunicazione efficace durante un M&A non si improvvisa. Serve un vero e proprio piano che includa:

  • Obiettivi chiari: cosa vogliamo ottenere con questa comunicazione? Allineamento, fiducia, retention?
  • Target ben definiti: dirigenti, middle manager, personale operativo. Ogni categoria ha aspettative e bisogni diversi.
  • Messaggi chiave: semplici, coerenti, ripetibili. Devono essere spiegati in modo accessibile.
  • Canali appropriati: riunioni plenarie, newsletter interne, incontri one-to-one, intranet, video messaggi. Ogni canale ha un ruolo.
  • Timing strategico: la comunicazione deve essere pianificata in base alle fasi dell’operazione.
  • Misurazione e feedback: sondaggi, termometri di clima aziendale, domande aperte. Monitorare è fondamentale.

Il ruolo della leadership nella comunicazione

Durante un M&A, i leader non devono solo “comunicare bene”, ma essere modelli di comunicazione. I dipendenti guardano ai dirigenti per capire cosa aspettarsi. Un manager silenzioso o ansioso trasmette insicurezza. Uno che comunica con onestà, anche nelle difficoltà, genera rispetto e motivazione.

Inoltre, è importante che i vertici siano visibili, accessibili, presenti. Il coinvolgimento diretto della leadership nei momenti chiave della comunicazione (townhall meeting, video messaggi, lettere firmate) aumenta la percezione di trasparenza e cura.


La sfida dell’integrazione culturale

Uno degli ostacoli più insidiosi dopo un M&A è la convivenza di culture aziendali diverse. Una cultura può essere più gerarchica, l’altra più informale. Una orientata alla performance, l’altra alla stabilità.

La comunicazione diventa il ponte per costruire una cultura condivisa, spiegare i valori del nuovo gruppo, integrare stili diversi e facilitare la collaborazione.

Serve ascolto, dialogo e spesso anche un lavoro simbolico: nuovi loghi, nuovi rituali aziendali, eventi di team building, campagne interne che rafforzino il senso di appartenenza al nuovo brand.


L’importanza della comunicazione visiva ed empatica

In contesti di M&A, la comunicazione non è solo razionale. Serve anche un linguaggio emotivo. Video, grafiche, simboli, storie personali sono strumenti potenti per trasmettere messaggi profondi.

Raccontare il “perché” dell’operazione, attraverso testimonial interni, può aiutare a superare le paure. Usare immagini, icone, mappe di cambiamento rende le trasformazioni più comprensibili. In periodi di incertezza, la comunicazione deve rassicurare, ispirare, motivare.


Esempio pratico: La fusione tra due software house italiane

Immaginiamo due aziende tecnologiche italiane: una con sede a Milano, l’altra a Bologna. Dopo una fase di trattativa riservata, annunciano una fusione per creare un nuovo gruppo più competitivo. Il rischio? Perdere i migliori sviluppatori, demotivati o attratti da realtà più stabili.

Il team M&A decide allora di affiancare alla due diligence tecnica una task force dedicata alla comunicazione interna. Prima del closing, i dirigenti incontrano a piccoli gruppi tutti i dipendenti per ascoltarli e preparare il terreno. Al momento dell’annuncio, viene diffuso un video messaggio con i CEO delle due aziende, accompagnato da un documento FAQ accessibile a tutti.

Nei mesi successivi, viene lanciato un portale interno con aggiornamenti settimanali, uno spazio “chiedi al CEO” e interviste ai dipendenti. Si organizzano due hackathon con team misti per favorire la collaborazione tra le sedi.

Risultato: 95% dei talenti chiave resta in azienda, e il nuovo brand viene percepito come una vera opportunità di crescita. Tutto grazie a una strategia di comunicazione interna solida e umana.


Conclusione

In un mondo dove le M&A sono sempre più frequenti, la comunicazione interna non può essere un pensiero secondario. È un investimento strategico che tutela il valore umano dell’azienda, evita fughe di cervelli, rafforza la cultura e accelera l’integrazione. Un M&A ben comunicato non è solo più efficace: è anche più umano. E, alla lunga, più sostenibile.

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Governance Aziendale M&A

Aspetti fiscali da considerare in un’operazione di M&A in Italia

Introduzione

Le operazioni di M&A (Merger and Acquisition), ovvero fusioni e acquisizioni, rappresentano una leva strategica per la crescita aziendale. Tuttavia, dietro alla complessità finanziaria e contrattuale di queste operazioni si nasconde un aspetto spesso sottovalutato, ma determinante per il successo dell’intero processo: la fiscalità. In Italia, il sistema fiscale è articolato e può incidere profondamente sulla convenienza, sulla struttura e sui tempi dell’operazione. Questo articolo vuole fornire una guida chiara e completa sugli aspetti fiscali da considerare in un’operazione di M&A in Italia, con un taglio pratico, comprensibile anche ai non addetti ai lavori.


Tipologie di operazioni M&A e impatti fiscali iniziali

Le operazioni di M&A possono assumere diverse forme: acquisizione di quote o azioni (share deal), acquisizione di beni aziendali (asset deal), fusione o scissione. Ognuna di queste modalità comporta conseguenze fiscali differenti. Ad esempio, nel caso di un’acquisizione di partecipazioni, l’imposta di registro è fissa (200 euro), mentre nell’acquisto di rami d’azienda, l’imposta può essere proporzionale e ben più onerosa, oltre a comportare l’applicazione dell’IVA o dell’imposta di registro a seconda della natura dell’operazione.

Inoltre, l’asset deal può generare un effetto di “step-up” fiscale, ovvero la possibilità di rivalutare i beni acquistati, generando maggiori ammortamenti futuri, con impatti positivi sulla fiscalità degli anni successivi.


Due diligence fiscale: non è solo una formalità

La due diligence fiscale è la fase in cui l’acquirente verifica la posizione fiscale dell’azienda target. Non si tratta solo di controllare che siano state pagate le tasse, ma di identificare potenziali passività occulte: contenziosi in corso con l’Agenzia delle Entrate, errata deducibilità dei costi, crediti fiscali dubbi, o rischi legati a regimi agevolativi decaduti.

Ignorare questi elementi può portare a sorprese spiacevoli dopo il closing. Per questo, è buona prassi prevedere delle clausole di garanzia fiscale nel contratto di compravendita (SPA – Sale and Purchase Agreement), che obblighino il venditore a coprire eventuali debiti fiscali pregressi.


Trattamento delle plusvalenze e imposte dirette

Uno degli aspetti più delicati in fase di vendita è il trattamento fiscale della plusvalenza, ovvero la differenza tra il prezzo di cessione e il valore fiscale della partecipazione o dei beni ceduti.

Per le persone fisiche non imprenditori, la plusvalenza è tassata con un’imposta sostitutiva del 26%. Per le società, invece, la plusvalenza concorre a formare il reddito imponibile IRES (attualmente al 24%), salvo le ipotesi di esenzione parziale (partecipation exemption), che permette di esentare il 95% della plusvalenza se sono rispettati determinati requisiti (detenzione minima di 12 mesi, iscrizione tra le immobilizzazioni finanziarie, residenza fiscale della partecipata in un Paese “white list” e svolgimento di un’attività commerciale da parte della partecipata).


IVA, imposta di registro e altre imposte indirette

Un altro elemento da valutare è l’applicazione dell’IVA o dell’imposta di registro sull’operazione. Se si acquista un’azienda o un ramo d’azienda, l’operazione è esente da IVA (ma soggetta a imposta di registro proporzionale, con aliquote fino al 9% per gli immobili). Se invece si acquistano beni strumentali singoli, può essere applicata l’IVA.

Nel caso di acquisizione immobiliare, vanno considerati anche l’imposta ipotecaria e catastale. E se il bene è “prima casa” per l’acquirente, vi possono essere agevolazioni. In caso contrario, le imposte possono pesare in modo significativo sull’esborso.


Trattamento delle perdite fiscali

Le perdite fiscali pregresse dell’azienda target possono rappresentare un’opportunità per l’acquirente, ma bisogna rispettare precise condizioni. L’articolo 84 del TUIR stabilisce che le perdite possono essere riportate solo se non cambia l’attività prevalente dell’azienda. Inoltre, è necessario che la partecipazione di controllo sia posseduta da almeno due anni o che venga mantenuta la continuità aziendale per almeno un biennio.

In presenza di un cambiamento significativo, l’Agenzia delle Entrate può disconoscere l’utilizzo delle perdite, con conseguente aumento dell’imponibile. È dunque essenziale valutare con attenzione la continuità dell’attività aziendale e pianificare l’acquisizione anche in funzione della gestione fiscale futura.


Strutture veicolari e ottimizzazione fiscale

In molti casi, le operazioni di M&A vengono realizzate attraverso veicoli societari (SPV – Special Purpose Vehicle), costituiti ad hoc per acquistare la target. Questo consente di isolare i rischi e, in certi casi, beneficiare di vantaggi fiscali. Ad esempio, si può fare leva sulla deducibilità degli interessi passivi per finanziare l’operazione (nel limite del 30% dell’EBITDA), oppure utilizzare meccanismi di consolidato fiscale per compensare utili e perdite tra le società del gruppo.

Attenzione, però, a non configurare strutture elusive: l’Agenzia delle Entrate può contestare l’abuso del diritto se lo schema dell’operazione ha come principale obiettivo l’ottenimento di vantaggi fiscali.


Fiscalità internazionale nelle operazioni cross-border

Quando l’operazione di M&A coinvolge soggetti esteri (ad esempio, un acquirente straniero che compra una società italiana), si aprono scenari di fiscalità internazionale. In questi casi, è fondamentale considerare:

  • La residenza fiscale della target e degli acquirenti.
  • La presenza di una stabile organizzazione in Italia.
  • L’applicazione dei trattati contro le doppie imposizioni.
  • Il regime CFC (Controlled Foreign Company).
  • Le ritenute su dividendi, interessi e royalties.

Una corretta pianificazione può evitare la doppia imposizione e massimizzare il rendimento post-tasse dell’operazione.


Bonus fiscali e crediti d’imposta: attenzione alle regole

In alcuni settori (es. industria 4.0, R&S, transizione green) le aziende possono godere di incentivi fiscali sotto forma di crediti d’imposta. È importante verificare se la target ne ha beneficiato e se le condizioni di utilizzo sono state rispettate, perché in caso contrario l’acquirente potrebbe essere chiamato a restituirli.

Inoltre, la cessione dell’azienda non sempre comporta il trasferimento automatico del beneficio. Alcuni incentivi sono strettamente personali o legati alla titolarità originaria, e possono decadere con la cessione.


Clausole fiscali nei contratti di M&A

Durante la redazione del contratto di compravendita, è essenziale inserire specifiche clausole fiscali che tutelino l’acquirente da eventuali sorprese. Tra le più rilevanti:

  • Tax indemnity: il venditore si impegna a rimborsare eventuali debiti fiscali maturati prima del closing.
  • Tax covenant: le parti stabiliscono la gestione di eventi fiscali successivi al closing ma relativi al periodo pregresso.
  • Withholding clauses: indicano eventuali ritenute da applicare sui pagamenti (specie verso soggetti esteri).

Queste clausole vanno negoziate con attenzione, con il supporto di un fiscalista esperto.


Esempio pratico: Acquisto di una PMI italiana da parte di un imprenditore veneto

Immaginiamo che un imprenditore di Vicenza voglia acquisire il 100% delle quote di una piccola azienda meccanica con sede a Padova. La società target ha immobili strumentali di proprietà, ha beneficiato di crediti d’imposta Industria 4.0 e ha circa 200.000 euro di perdite fiscali pregresse.

L’acquirente, per finanziare l’operazione, crea una società veicolo (SPV) che ottiene un finanziamento bancario. In fase di due diligence, emergono alcune irregolarità nei registri IVA e una causa aperta con l’Agenzia delle Entrate.

Il contratto di compravendita prevede:

  • Tax indemnity per eventuali accertamenti sui 5 anni precedenti.
  • Clausola di mantenimento del personale per continuare a godere del credito d’imposta.
  • Patto di non concorrenza per tutelare il valore dell’avviamento.

L’operazione viene strutturata come share deal, per minimizzare imposte indirette. Tuttavia, l’acquirente prevede una fusione post-acquisizione con la SPV, per sfruttare le perdite pregresse della target.

Grazie a una pianificazione fiscale accurata, l’impatto delle imposte sull’intera operazione è ridotto di circa il 30% rispetto a una gestione non strutturata.


Conclusioni

In un’operazione di M&A in Italia, trascurare la dimensione fiscale può trasformare una grande opportunità in un disastro annunciato. Conoscere le norme, prevedere le implicazioni delle diverse strutture, gestire con cura la due diligence e scrivere contratti ben bilanciati non è un optional: è una condizione necessaria per tutelare il valore e la sostenibilità dell’operazione. Per questo, l’accompagnamento da parte di professionisti esperti è essenziale in ogni fase del processo.

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Finanza Straordinaria M&A

Gli Strumenti Finanziari più Usati nelle Operazioni M&A – Dal Leverage Buyout ai Vendor Loan

Introduzione: perché parlare di strumenti finanziari nelle operazioni M&A

Quando si pensa a una fusione o acquisizione, spesso si immagina un incontro tra due aziende, una trattativa e infine la firma di un contratto. Tuttavia, dietro ogni operazione di M&A c’è una struttura finanziaria complessa che permette all’acquirente di sostenere l’investimento, gestire i rischi e garantire la redditività futura.

Non esiste un solo modo per finanziare un’acquisizione. Esistono invece molti strumenti finanziari — classici e innovativi — che si adattano al tipo di azienda, al contesto di mercato e alle finalità strategiche dell’operazione. Comprenderli non è solo utile: è fondamentale per chiunque voglia affrontare un’operazione M&A in modo serio e strutturato.

Il Leverage Buyout (LBO): usare il debito per acquistare valore

Il Leverage Buyout è probabilmente lo strumento più noto nel panorama M&A. In parole semplici, si tratta di un’acquisizione finanziata in gran parte a debito, dove l’acquirente mette una quota limitata di capitale proprio e il resto viene coperto da finanziamenti bancari o altri strumenti di debito.

Il vero punto di forza dell’LBO è che il debito viene rimborsato non con i soldi dell’acquirente, ma con i flussi di cassa generati dall’azienda target. Questo rende possibile acquisire realtà anche molto più grandi, purché abbiano una buona capacità di generare liquidità.

L’LBO è uno strumento potente ma non privo di rischi: un rallentamento della redditività dell’azienda target può compromettere la capacità di rimborsare il debito, con effetti a catena sull’intera struttura finanziaria.

Il Vendor Loan: quando è il venditore a finanziare l’acquirente

In molte operazioni, soprattutto nelle PMI, capita che l’acquirente non abbia immediatamente a disposizione tutte le risorse per pagare l’intero prezzo. In questi casi, si può ricorrere al vendor loan: una sorta di finanziamento che il venditore concede all’acquirente, accettando di ricevere parte del pagamento in un secondo momento.

Dal punto di vista pratico, il vendor loan è un credito concesso dal venditore, che può essere subordinato (cioè rimborsato solo dopo altri debiti) oppure no. Questo strumento ha il vantaggio di rendere più fluida la negoziazione, di creare fiducia tra le parti e di permettere la chiusura dell’operazione anche in contesti finanziariamente delicati.

Il venditore accetta il rischio in cambio di condizioni favorevoli (interessi, garanzie, clausole di salvaguardia) e spesso mantiene un certo grado di controllo o coinvolgimento nella gestione dell’azienda.

L’earn-out: pagare in base ai risultati futuri

L’earn-out è uno strumento che permette di legare una parte del prezzo di vendita al raggiungimento di determinati risultati futuri (ad esempio, fatturato o margini). È molto usato in acquisizioni dove è difficile valutare il reale valore dell’azienda in quel momento, magari per via di grandi cambiamenti in atto, nuove linee di prodotto o settori innovativi.

Dal punto di vista finanziario, consente all’acquirente di posticipare una parte del pagamento, riducendo il fabbisogno iniziale e premiando la performance futura. Dall’altra parte, il venditore ha un incentivo a collaborare per alcuni anni dopo la vendita, per garantire il successo dell’azienda.

Il Mezzanino: una via di mezzo tra debito e capitale

Il finanziamento mezzanino è una forma ibrida tra debito e capitale proprio. Si tratta di un prestito che ha tassi d’interesse più alti dei finanziamenti bancari tradizionali, ma che spesso dà diritto anche a una partecipazione agli utili o a una conversione in quote societarie.

Questo strumento è particolarmente utile quando il livello di indebitamento è già alto, ma l’acquirente non vuole diluire troppo la propria partecipazione. È molto usato nei club deal e nelle operazioni supportate da fondi di investimento.

Le quote di minoranza e gli strumenti convertibili

Non sempre l’acquirente entra con il 100% del capitale. A volte, per motivi strategici o finanziari, acquisisce inizialmente una quota di minoranza, con strumenti che prevedono la possibilità di salire progressivamente nel capitale (come le opzioni call) o di convertire strumenti finanziari in quote (convertendo, ad esempio, un finanziamento in partecipazione).

Questi strumenti danno flessibilità, permettono una fase di transizione graduale e sono spesso usati in operazioni tra partner industriali o in settori con alta volatilità.

Il ruolo delle banche e dei fondi: non solo finanziatori

Oggi le banche non si limitano a fornire prestiti: in molti casi partecipano attivamente all’operazione, strutturando pacchetti di finanziamento complessi, combinando debito senior, junior, linee di credito revolving e strumenti derivati di copertura.

Anche i fondi di private equity, spesso coinvolti come investitori o co-finanziatori, contribuiscono con strumenti propri: equity puro, strumenti subordinati, cartolarizzazioni.

Il loro apporto non è solo finanziario, ma anche strategico, e spesso sono determinanti nel far decollare operazioni che altrimenti non sarebbero sostenibili.

Clausole contrattuali con impatto finanziario

Oltre agli strumenti veri e propri, è importante tenere in considerazione anche le clausole contrattuali che possono influenzare la struttura finanziaria dell’operazione:

  • Clausole di aggiustamento prezzo (price adjustment): modificano il prezzo finale sulla base del capitale circolante netto o dell’indebitamento effettivo.
  • Clausole MAC (Material Adverse Change): permettono all’acquirente di ritirarsi in caso di eventi gravi tra firma e closing.
  • Covenant finanziari: obblighi di mantenere determinati parametri di bilancio, spesso legati ai finanziamenti concessi.

Esempio pratico: combinare LBO e vendor loan in un’acquisizione PMI

Un nostro cliente, attivo nel settore della logistica, desiderava acquisire una realtà locale con forti potenzialità ma bilanci non brillantissimi. Il valore richiesto dal venditore era superiore alle disponibilità immediate dell’acquirente, e le banche erano riluttanti a finanziare l’intero importo.

Abbiamo costruito una struttura mista:

  • 30% equity messo dall’acquirente
  • 50% finanziamento bancario garantito dal cash flow della target (LBO classico)
  • 20% vendor loan con pagamento posticipato a 24 mesi

Per tutelarsi, il venditore ha richiesto un interesse sul vendor loan del 6%, garanzie personali e una clausola di earn-out legata alla crescita del fatturato.

Il risultato? L’operazione si è chiusa in tempi brevi, con soddisfazione di entrambe le parti. L’acquirente ha potuto realizzare un’operazione strategica con un esborso limitato e il venditore ha monetizzato in sicurezza, partecipando al successo futuro.


Conclusione: costruire valore richiede creatività finanziaria

Ogni operazione M&A è diversa. Gli strumenti finanziari non sono formule rigide, ma strumenti da combinare in modo intelligente per bilanciare rischi, obiettivi e tempi.

Conoscere queste soluzioni — dal leverage buyout al vendor loan, passando per earn-out e strumenti ibridi — è oggi imprescindibile per chi vuole affrontare un’acquisizione con consapevolezza e concretezza.

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