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L’analisi del livello medio di capitale circolante necessario per il business: come determinare il Working Capital Target ai fini valutativi e del prezzo dell’operazione

In ogni operazione di M&A, ci sono numeri che raccontano il passato e altri che determinano il futuro.
Tra questi ultimi, uno dei più importanti ma anche più sottovalutati è il capitale circolante netto, o working capital: la linfa che alimenta il ciclo operativo di un’impresa.

Saperlo analizzare con metodo, capirne la dinamica e stimarne il livello “giusto” — il cosiddetto Working Capital Target — è fondamentale per determinare il prezzo reale di un’azienda e per garantire equilibrio finanziario dopo il closing.


Cos’è il capitale circolante e perché conta davvero

Il capitale circolante netto (CCN) è la differenza tra attività correnti e passività correnti.
In parole semplici, rappresenta la quantità di risorse necessarie a finanziare l’operatività quotidiana di un’azienda — scorte, crediti verso clienti, debiti verso fornitori.

Un working capital positivo indica che l’azienda utilizza parte della propria liquidità per sostenere il ciclo operativo; un working capital negativo, invece, che l’azienda riesce a finanziare il business con le stesse passività operative (ad esempio incassando prima di pagare).

Ma, al di là delle definizioni, ciò che conta è quanto capitale circolante serve davvero per far funzionare il business in modo efficiente.
Questo valore è ciò che chiamiamo Working Capital Target.


Il Working Capital Target: un equilibrio delicato

Il Working Capital Target rappresenta il livello medio di capitale circolante necessario e “fisiologico” per il business.
Non è un numero fisso, ma un equilibrio dinamico che varia in base a:

  • stagionalità delle vendite (ad esempio nel retail o nel settore alimentare);
  • struttura del ciclo di produzione e vendita;
  • tempi medi di incasso e pagamento;
  • politiche di magazzino e rotazione scorte.

In un’operazione di M&A, questo parametro è cruciale perché influisce direttamente sulla determinazione del prezzo di acquisizione.
Durante la negoziazione, le parti concordano infatti un livello di capitale circolante “target” da considerare incluso nel valore dell’azienda.
Qualsiasi scostamento al momento del closing può determinare rettifiche di prezzo (le cosiddette “working capital adjustments”).


Perché il Working Capital Target è fondamentale nelle operazioni M&A

Immaginiamo che un acquirente valuti un’impresa basandosi su un EBITDA normalizzato di 5 milioni.
Se però l’azienda necessita di 4 milioni di capitale circolante per funzionare, e non di 2 come inizialmente stimato, il fabbisogno finanziario effettivo sale — e il valore dell’equity si riduce.

L’analisi del Working Capital Target serve proprio a evitare questo errore, consentendo di:

  1. Determinare un prezzo realistico, basato sul capitale effettivamente necessario per il business.
  2. Evitare squilibri di liquidità post-acquisizione, che possono compromettere la stabilità dell’impresa.
  3. Allineare venditore e acquirente su un parametro oggettivo, riducendo le contestazioni al closing.

In sostanza, definire correttamente il working capital significa garantire la continuità operativa dell’azienda e la sostenibilità finanziaria del deal.


Come si determina il Working Capital Target

L’analisi del livello medio di capitale circolante si basa su un approccio analitico, che unisce numeri e logica industriale.
Le fasi tipiche sono quattro:

1. Analisi storica del capitale circolante

Si analizzano i dati storici — solitamente degli ultimi 12-24 mesi — per comprendere la dinamica del capitale circolante.
L’obiettivo è identificare pattern ricorrenti e isolare eventuali picchi stagionali.
In questa fase si calcolano:

  • DSO (Days Sales Outstanding) – giorni medi di incasso dai clienti;
  • DPO (Days Payables Outstanding) – giorni medi di pagamento ai fornitori;
  • DIO (Days Inventory Outstanding) – giorni medi di giacenza delle scorte.

La combinazione di questi indicatori definisce il cash conversion cycle, ovvero il tempo medio necessario per trasformare le risorse investite in cassa.

2. Normalizzazione dei dati

L’analisi storica spesso include periodi anomali (ad esempio lockdown, picchi di domanda o crisi temporanee).
L’advisor “ripulisce” i dati per ottenere una media rappresentativa di un periodo operativo normale, eliminando gli effetti straordinari.

3. Identificazione del fabbisogno operativo

Si stima il livello minimo di capitale circolante necessario per sostenere il ciclo operativo tipico dell’azienda.
Questo valore tiene conto della stagionalità del business, dei contratti ricorrenti e delle politiche commerciali e di credito.

4. Determinazione del Working Capital Target

Infine, si fissa un livello target da considerare nel calcolo del prezzo dell’operazione.
Questo livello diventa il punto di riferimento nel closing mechanism: se al momento del passaggio di proprietà il capitale circolante effettivo è superiore o inferiore al target, il prezzo viene rettificato in aumento o in diminuzione.


Working Capital Adjustments: quando il prezzo cambia dopo la firma

Nelle operazioni di M&A, il working capital adjustment è una clausola standard nei contratti di compravendita (SPA – Share Purchase Agreement).
Serve a garantire che l’acquirente riceva l’azienda con un livello “normale” di capitale circolante, né gonfiato né carente.

  • Se il capitale circolante effettivo è superiore al target, significa che il venditore lascia più liquidità nell’azienda → aumento del prezzo di acquisto.
  • Se invece è inferiore, l’acquirente dovrà iniettare più risorse dopo il closing → riduzione del prezzo.

Ecco perché l’analisi accurata del working capital è così importante: un errore di stima può spostare milioni di euro nel prezzo finale dell’operazione.


Gli errori più comuni nell’analisi del Working Capital

Nonostante la sua importanza, il working capital è spesso sottovalutato o mal interpretato.
Tra gli errori più frequenti:

  • Confondere cassa e capitale circolante: la cassa è liquidità disponibile, il working capital è la risorsa necessaria per generarla.
  • Ignorare la stagionalità: in settori come moda o agrifood, il fabbisogno varia fortemente nel corso dell’anno.
  • Non considerare i contratti intercompany o le politiche di gruppo.
  • Stimare il target su dati di bilancio e non su flussi reali.
  • Dimenticare le poste “nascoste”, come anticipi clienti, fornitori strategici o crediti infragruppo.

Un buon advisor finanziario evita queste trappole attraverso una ricostruzione analitica e prospettica del ciclo operativo.


Il ruolo dell’advisor nella definizione del Working Capital Target

Determinare il working capital non è un mero esercizio contabile: è un processo di valutazione industriale.
Serve competenza per leggere i numeri nel contesto operativo dell’impresa.

L’advisor esperto:

  • ricostruisce i flussi del capitale circolante lungo la catena del valore;
  • distingue tra fabbisogno strutturale e fabbisogno temporaneo;
  • confronta l’azienda con i benchmark di settore;
  • traduce il dato finanziario in un elemento negoziale concreto.

In questo senso, l’analisi del working capital è uno strumento di consulenza strategica, non solo di verifica contabile.


Un caso pratico: come un’analisi accurata può cambiare una trattativa

Immaginiamo un’azienda veneta nel settore metalmeccanico con un EBITDA di 6 milioni e un capitale circolante medio di 4 milioni.
L’acquirente, basandosi sui dati di bilancio, ipotizza un working capital di 3 milioni come livello fisiologico.

Durante la due diligence, l’advisor del venditore realizza un’analisi dettagliata dei flussi mensili degli ultimi 24 mesi.
Emergono due elementi chiave:

  1. La produzione ha cicli lunghi: i clienti pagano a 120 giorni, i fornitori a 60.
  2. Le scorte medie equivalgono a due mesi di produzione, ma non possono essere ridotte senza compromettere il servizio.

L’analisi mostra che il fabbisogno minimo strutturale è di 4,2 milioni, non 3.
Grazie a questa evidenza, il venditore riesce a giustificare un prezzo più alto e ad evitare rettifiche post-closing per “carenza” di capitale circolante.

Questo esempio dimostra come un’analisi di working capital ben condotta possa incidere in modo diretto e misurabile sul valore finale dell’operazione.


Conclusione: la liquidità nascosta nel capitale circolante

In ogni impresa, il capitale circolante è come l’acqua di un fiume: scorre tra magazzino, crediti e debiti, e alimenta la vita del business.
Capire quanta ne serve davvero — né troppa, né troppo poca — è la chiave per una valutazione realistica e per una transazione di successo.

L’analisi del livello medio di capitale circolante e la determinazione del Working Capital Target non sono solo un passaggio tecnico, ma un vero e proprio strumento di tutela e valorizzazione per entrambe le parti.
Perché in un’operazione di M&A, ogni euro “fermo” nel circolante è un euro in meno di liquidità disponibile o un rischio in più per il futuro acquirente.

In sintesi, la solidità di un’azienda non si misura solo dai margini, ma dalla qualità della sua gestione operativa e finanziaria.
E in questo equilibrio, il Working Capital è la leva più silenziosa — ma anche la più potente.

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