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Fare il punto a dicembre?

Per molte aziende è già troppo tardi

Ogni anno, puntuale come il calendario dell’Avvento, a dicembre accade la stessa cosa.
Imprenditori, amministratori e direttori finanziari iniziano a “fare il punto”: guardano i numeri, analizzano il bilancio che si sta chiudendo, valutano se l’anno è andato bene o male e, solo allora, iniziano a porsi le grandi domande.

Possiamo crescere?
È il momento di cercare un investitore?
Ha senso acquisire un concorrente?
Come prepariamo il passaggio generazionale?

Il problema è che dicembre è il mese peggiore possibile per iniziare a prendere decisioni strategiche.
Non perché manchino i dati, ma perché mancano le opzioni.

Quando il bilancio è quasi chiuso, molte strade sono già precluse. Le decisioni vere, quelle che contano davvero in un percorso di crescita, non si improvvisano a consuntivo. Si costruiscono molto prima.

Ed è proprio qui che nasce uno degli errori più diffusi nelle PMI italiane.


Il grande equivoco: credere che i numeri bastino

Nella cultura imprenditoriale italiana, soprattutto manifatturiera, il numero ha un valore quasi sacro.
Il bilancio è il giudice finale: dice se l’anno è andato bene, se l’azienda “sta in piedi”, se ci sono stati margini.

Tutto corretto. Ma non sufficiente.

Il bilancio racconta il passato, non il futuro.
A dicembre emergono i risultati, ma non emergono le alternative strategiche.

Quando un imprenditore dice:

“Aspettiamo di chiudere l’anno e poi vediamo”

in realtà sta dicendo:

“Rinviamo le decisioni a quando sarà troppo tardi per scegliere davvero”.

Perché molte scelte – soprattutto in ambito M&A, finanza straordinaria e apertura del capitale – richiedono tempo, preparazione e anticipo.


Il tempo, variabile sottovalutata nelle decisioni strategiche

Chi non vive quotidianamente operazioni di M&A tende a sottovalutare una cosa: la durata reale dei processi.

Un’acquisizione, l’ingresso di un investitore, una riorganizzazione societaria o un passaggio generazionale non si fanno in poche settimane.

Nella pratica, i tempi medi sono questi:

  • 6–9 mesi per preparare seriamente l’azienda
  • 9–18 mesi per completare un’operazione complessa

Questo significa una cosa molto semplice:
👉 le decisioni che si vorrebbero realizzare nel 2025 vanno pensate nel 2024, non a dicembre 2024.

Quando a fine anno ci si accorge che “sarebbe stato utile muoversi prima”, il problema non è il mercato. È il timing.


M&A e finanza straordinaria: perché dicembre è già tardi

Nel mondo M&A il tempo non è un dettaglio. È una leva strategica.

A dicembre:

  • i numeri sono ormai consolidati
  • le strutture societarie sono quelle che sono
  • le inefficienze emergono tutte insieme
  • le criticità diventano evidenti… ma non risolvibili nel breve

Questo crea un paradosso:
più informazioni hai, meno margine di manovra possiedi.

Se emergono problemi di marginalità, concentrazione clienti, struttura dei costi o governance, non c’è il tempo tecnico per correggerli prima di presentarsi a un investitore o a un potenziale acquirente.

E nel M&A, presentarsi impreparati ha sempre un costo.


Passaggi generazionali: l’errore di pensarli come un evento

Il passaggio generazionale è uno dei temi più sottovalutati e, allo stesso tempo, più delicati.

Molti imprenditori lo vedono come un momento:

“Tra qualche anno sistemiamo”

In realtà è un processo, non un evento.

Quando a dicembre ci si chiede:

“Siamo pronti per il passaggio?”

la risposta onesta, nella maggior parte dei casi, è no.
Non perché manchino i valori o le competenze, ma perché manca una struttura che renda l’azienda indipendente dalla figura del fondatore.

E costruire questa struttura richiede tempo:

  • deleghe reali
  • numeri leggibili
  • ruoli chiari
  • governance funzionante

Tutte cose che non nascono a bilancio chiuso.


L’ingresso di investitori: quando il numero non basta

Un altro mito diffuso è questo:

“Se i numeri sono buoni, l’investitore arriva”

In parte è vero.
Ma i numeri da soli non bastano mai.

Gli investitori guardano:

  • qualità del management
  • sostenibilità dei margini
  • dipendenza da clienti o persone chiave
  • capacità di crescita strutturata
  • chiarezza della strategia

Se questi elementi non sono stati costruiti prima, a dicembre puoi solo prenderne atto.
E spesso è proprio in quel momento che emerge la distanza tra ciò che l’imprenditore pensa e ciò che il mercato percepisce.


A dicembre emergono i problemi, non le soluzioni

Dicembre è il mese delle prese di coscienza.
Si capisce cosa non ha funzionato, dove si è perso margine, quali scelte sono state rimandate.

Ma è anche il mese in cui:

  • non si può più cambiare la struttura dei costi
  • non si possono correggere errori strategici
  • non si può riposizionare l’azienda

In altre parole, a dicembre si leggono i risultati delle decisioni prese (o non prese) nei mesi precedenti.

Il vero lavoro strategico non si fa a fine anno.
Si fa prima, quando c’è ancora spazio per agire.


Il mindset “a consuntivo”: una trappola culturale

Molte PMI ragionano ancora così:

  1. Chiudiamo l’anno
  2. Guardiamo i numeri
  3. Decidiamo cosa fare

Questo approccio funziona per la gestione ordinaria.
Ma non funziona per la crescita straordinaria.

La crescita richiede:

  • visione
  • anticipo
  • capacità di leggere i numeri mentre si stanno formando, non quando sono definitivi

Chi aspetta il consuntivo per decidere rinuncia, senza accorgersene, alla possibilità di scegliere.


Il vero lavoro si fa prima: quando e come

Le aziende che crescono davvero fanno una cosa diversa:
usano l’anno in corso per costruire il futuro, non solo per misurare il passato.

Questo significa:

  • monitorare i numeri durante l’anno, non a fine anno
  • leggere i dati in chiave strategica, non solo fiscale
  • usare il tempo come alleato, non come nemico

In ottica M&A, questo è ciò che fa la differenza tra:

  • subire un’operazione
  • guidarla

Il ruolo dell’advisor: anticipare, non commentare

Un advisor serio non arriva a dicembre per dire cosa non va.
Arriva prima, per aiutare l’imprenditore a:

  • capire dove sta andando l’azienda
  • preparare il terreno per future opzioni strategiche
  • rendere l’impresa più solida, leggibile e appetibile

Il valore non è nel commento a bilancio chiuso.
Il valore è nell’anticipazione.


Esempio pratico: come fare bene il percorso di crescita e il monitoraggio dei numeri

Immaginiamo una PMI manifatturiera da 15 milioni di fatturato, buona marginalità ma forte dipendenza dal fondatore.

Situazione iniziale

  • Controllo dei numeri solo a fine anno
  • Reporting essenziale, orientato al commercialista
  • Nessuna riflessione strutturata su crescita o apertura del capitale

Percorso corretto

  1. Monitoraggio periodico dei numeri
    Non solo fatturato e utile, ma:
    • marginalità per linea/prodotto
    • concentrazione clienti
    • capacità di generare cassa
  2. Lettura strategica dei dati
    I numeri non servono per giudicare, ma per decidere:
    • dove investire
    • cosa rafforzare
    • cosa correggere
  3. Costruzione graduale delle opzioni
    Senza fretta, ma con metodo:
    • rafforzamento del management
    • semplificazione societaria
    • chiarezza su ruoli e deleghe
  4. Preparazione anticipata
    Quando arriva dicembre, l’azienda:
    • conosce già i suoi punti di forza e debolezza
    • ha già lavorato sulle criticità
    • ha opzioni reali sul tavolo

In questo scenario, dicembre non è il momento delle sorprese, ma della conferma di un percorso già costruito.


Conclusione: il tempo è una scelta strategica

Fare il punto a dicembre non è sbagliato.
È sbagliato farlo per la prima volta a dicembre.

Chi vuole crescere, aprirsi a investitori, valutare operazioni di M&A o gestire un passaggio generazionale deve iniziare prima, quando il tempo è ancora un alleato.

Perché nel business, come nella vita, le decisioni migliori non si prendono quando sei costretto, ma quando sei preparato.

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5 segnali che la tua azienda sta perdendo margine (e come rimediare)

Ci sono momenti nella vita di un’impresa in cui qualcosa non torna: i ricavi restano stabili (o magari crescono), ma i margini si assottigliano. È come remare più forte, ma muoversi meno. Per molti imprenditori questo è un campanello d’allarme che arriva tardi, quando la redditività è già compromessa. Capire per tempo i segnali che indicano una perdita di margine può invece fare la differenza tra una crescita sana e un declino silenzioso.

In questo articolo analizziamo i cinque segnali più chiari che la tua azienda sta perdendo margine e, soprattutto, come intervenire in modo concreto per invertire la rotta.


1. I costi operativi crescono più dei ricavi

È uno dei segnali più evidenti, ma spesso anche uno dei più sottovalutati. Quando il fatturato cresce ma la marginalità resta ferma (o peggiora), il problema è quasi sempre nascosto tra le voci di costo. Questo succede quando l’aumento del volume di attività non è accompagnato da un adeguato controllo dei costi, oppure quando i processi interni non sono più efficienti come una volta.

Come rimediare

Per prima cosa serve una mappatura accurata dei costi. Spesso gli imprenditori scoprono che piccole inefficienze — come spese non monitorate, scorte sovradimensionate o personale non ottimizzato — erodono il margine più di quanto immaginassero. L’obiettivo non è tagliare alla cieca, ma ridisegnare i processi per recuperare efficienza.

In questa fase, strumenti di controllo di gestione e di Business Intelligence possono essere di grande aiuto. Analizzare i costi variabili e fissi, e confrontarli con i ricavi per singolo prodotto, cliente o canale, permette di individuare dove il margine si disperde.


2. Il pricing non segue più il valore percepito

Un altro segnale frequente di erosione del margine è un prezzo che non riflette più il valore offerto. Molte aziende, per timore di perdere clienti, mantengono i prezzi invariati per anni, ignorando i cambiamenti del mercato e i propri costi crescenti. Il risultato? Ogni vendita porta meno utile di prima.

Come rimediare

Rivedere la strategia di prezzo non significa semplicemente aumentarlo, ma riallinearlo al valore. Serve analizzare il posizionamento del brand, il valore percepito dal cliente e l’andamento dei competitor. Se il tuo prodotto o servizio offre qualità, affidabilità e servizio post-vendita superiori, il prezzo deve rifletterlo.

Inoltre, introdurre modelli di pricing dinamico (soprattutto nei settori B2B e nei servizi ricorrenti) consente di adattarsi più rapidamente alle variazioni dei costi e della domanda.


3. I flussi di cassa si fanno più lenti

Un’azienda che inizia ad avere difficoltà nel flusso di cassa, anche se apparentemente profittevole, sta perdendo margine reale. Ritardi nei pagamenti, scorte eccessive o condizioni di incasso troppo lunghe rispetto ai tempi di pagamento ai fornitori possono erodere rapidamente la liquidità e, con essa, la redditività.

Come rimediare

Qui serve agire su più fronti. Prima di tutto, rivedere le politiche di credito commerciale: offrire dilazioni eccessive ai clienti equivale a finanziare il loro business, non il proprio. In parallelo, occorre ottimizzare il magazzino e ridurre il capitale immobilizzato in scorte che non ruotano.

Implementare un cash flow forecast accurato, magari con strumenti digitali integrati al gestionale, consente di anticipare tensioni di liquidità e intervenire prima che diventino un problema.


4. Le performance commerciali stagnano

A volte la perdita di margine non deriva da costi eccessivi, ma da ricavi statici o mal distribuiti. Quando il team commerciale continua a vendere gli stessi prodotti, agli stessi clienti, con le stesse modalità, è facile che il margine complessivo inizi a scendere. Il mercato evolve, i competitor cambiano, e ciò che ieri era profittevole oggi può non esserlo più.

Come rimediare

Il primo passo è analizzare i dati di vendita per segmenti e canali: quali prodotti portano più margine? Quali clienti sono realmente profittevoli? Spesso si scopre che il 20% dei clienti genera l’80% del margine, mentre il resto assorbe risorse senza creare valore.

Serve quindi riposizionare l’offerta, puntando su soluzioni ad alto valore aggiunto, rivedere gli incentivi della forza vendita e rafforzare le attività di marketing mirato. In certi casi, può essere utile introdurre partnership strategiche o valutare acquisizioni per espandersi in mercati più profittevoli.


5. L’organizzazione interna non scala con la crescita

Un’azienda che cresce in fatturato ma non in efficienza rischia di perdere margine per mancanza di struttura. Succede spesso nelle PMI: i processi restano artigianali, le decisioni centralizzate, la comunicazione interna lenta. Tutto questo genera sprechi e costi occulti.

Come rimediare

La chiave è investire in organizzazione e digitalizzazione. Significa introdurre procedure chiare, deleghe strutturate, sistemi di controllo e strumenti digitali che rendano i processi scalabili. Non si tratta solo di tecnologia, ma di cultura aziendale: imparare a misurare le performance, condividere obiettivi e responsabilità, e premiare il merito.

Un’organizzazione efficiente permette di crescere senza disperdere valore, mantenendo margini stabili anche nei momenti di espansione.


Esempio pratico: il caso di TecnoPlast

TecnoPlast, azienda veneta del settore metalmeccanico con 80 dipendenti, aveva visto i margini scendere del 20% in tre anni nonostante un fatturato in crescita. Analizzando i dati, sono emersi chiaramente i cinque segnali descritti.

  1. Costi operativi in aumento: l’aumento del fatturato non era accompagnato da efficienza produttiva. Le ore lavorate per unità prodotta erano cresciute del 15%.
  2. Prezzi invariati: per timore di perdere clienti, i listini non erano stati aggiornati da quattro anni, nonostante l’aumento dei costi delle materie prime.
  3. Flusso di cassa negativo: i tempi medi di incasso erano saliti da 60 a 95 giorni, mentre i fornitori venivano pagati in 45.
  4. Vendite stagnanti nei canali chiave: il 70% dei ricavi proveniva sempre dagli stessi cinque clienti storici.
  5. Struttura interna inefficiente: l’organizzazione era rimasta quella di una PMI familiare, con pochi processi formalizzati.

Con un piano di intervento mirato, TecnoPlast ha rivisto i costi di produzione, introdotto un nuovo sistema di controllo di gestione, riallineato i listini e digitalizzato la pianificazione. In dodici mesi il margine operativo lordo è risalito di 6 punti percentuali.


Conclusione

Riconoscere i segnali di perdita di margine non è solo una questione di numeri: è una questione di consapevolezza strategica. Ogni azienda può attraversare momenti di inefficienza, ma solo chi li individua per tempo può trasformarli in un’opportunità di evoluzione.

Lavorare sui margini significa lavorare sull’anima economica dell’impresa: i processi, le persone, il valore percepito. È da qui che passa la crescita sostenibile.

Il nostro CONTROLLO DI GESTIONE SMART può aiutarti a capire come gestire al meglio i numeri della tua azienda.

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